Gamification e lavoro. Innovazione responsabile e privacy

È possibile giocare al lavoro garantendo il benessere e la privacy dei dipendenti?

12 Luglio 2024

Ulteriori informazioni

- Data: 12/04/2023
- Licenza d'uso: Dominio pubblico
Quando il lavoro diventa un gioco

Da qualche tempo a questa parte, alcune tra le multinazionali più note al mondo – ma non solo – hanno fatto proprio il concetto di gamification, introducendo elementi di gioco nei contesti aziendali dove il ritmo per i lavoratori rischia di essere ripetitivo e monotono. Sfide, competizioni, classifiche, profili utente, avatar e giochi di ruolo – sono diventati realtà in una vasta gamma di settori come sanità, marketing, finanza, istruzione, logistica, e-commerce e vendita al dettaglio. L’obiettivo è quello di rendere gli ambienti di lavoro più attraenti , catturando l’attenzione dei dipendenti nei momenti di formazione e aumentandone le competenze attraverso un approccio ludico. Tuttavia, nonostante l’aumento della produttività, dellefficienza e della motivazione del personale, l’applicazione della gamification può sollevare questioni sociali ed etiche, in particolare sui versanti della privacy e della libertà dei dipendenti.

Questioni di benessere

Ma in pratica, come si gioca? Il trend lanciato da società come Amazon parte dal presupposto di ridurre le emozioni negative legate ai contesti in cui è necessario svolgere compiti particolarmente ripetitivi e stressanti. Per esempio, i dipendenti occupati nel prendere o riporre prodotti dagli scaffali si impegnano in un gioco di corse per soddisfare gli ordini dei clienti, mentre i loro progressi sono registrati in un formato di videogame. Dal momento che la progettazione del gioco richiede una raccolta massiccia di dati personali degli utenti-dipendenti (e il loro costante monitoraggio), si può affermare che esiste uno stretto legame tra gli elementi di game-design e l’autonomia degli stessi lavoratori. Infatti, poiché le informazioni personali raccolte durante l’esperienza di gioco vengono elaborate attraverso modelli di profilazione automatizzati, la trasparenza può diventare un problema di autodeterminazione individuale. In altre parole, i lavoratori agirebbero mai di propria iniziativa attraverso il gioco? Sono consapevoli di aderire agli scopi dell’impresa? I meccanismi di induzione logica e psicologica di valutazione del gioco, infatti,  rimangono fuori dal controllo dell’individuo e si corre un concreto rischio di strumentalizzazione: quando i lavoratori sono indotti ad aumentare le loro prestazioni in compiti più impegnativi, pur attraverso pratiche più divertenti e motivanti, stanno inconsapevolmente portando a termine un obiettivo stabilito dal datore di lavoro. Non va dimenticato che il gioco ha una rilevanza specifica nella vita dell’uomo, in quanto permette di interrompere forme di forme di costrizione (tipiche del lavoro) arricchendo così l’immaginazione dell’individuo. Trasformare l’obiettivo ricreativo del gioco in un mezzo per svolgere meglio i propri obblighi lavorativi può comportare spiacevoli conseguenze psicologiche.

Giocare secondo le regole

Potenziare i benefici della gamification sul posto di lavoro è fondamentale: se vogliamo che gli aspetti positivi del gioco influiscano sul controllo dello stress e aumentino la disponibilità e le competenze del personale, è importante ripensare i servizi “gamificati” sulla base di un approccio progettuale,  che garantisca un equilibrio appropriato tra gioco e lavoro.

  • Gestione responsabile dell’Innovazione (Responsible Research and Innovation – RRI): in base a questo principio le imprese devono prestare attenzione alla protezione dei dati, informando i dipendenti sui loro diritti alla privacy e sulla gestione degli stessi. I lavoratori devono poter scegliere quali dati possono essere raccolti, archiviati ed elaborati, con chi devono essere condivisi, quali misure tecniche di protezione possono essere attuate e le limitazioni da imporre. Anticipando eventuali violazioni della privacy si eviteranno eventuali discrepanze tra gli interessi dei datori di lavoro e dei dipendenti, aprendo la strada a maggiori vantaggi reciproci.
  • Le misure per migliorare la privacy vanno progettate – perciò si parla di Data Protection by Design (DPbD). Ciò vale per la gamification come per altri contesti: il rischio di identificazione equivale alla perdita di controllo da parte dei lavoratori e alla limitazione della loro autonomia. Si possono attuare misure di anonimizzazione (gli individui non possono essere identificati all’interno di un gruppo o associati a eventuali dati specifici) e di pseudonimizzazione delle informazioni raccolte (che sospendono il collegamento oggettivo tra l’informazione e la persona interessata attraverso l’uso di pseudonimi). Un esempio di come DPbD agisce ai sensi del GDPR in Europa (General Data Protection Regulation ) è l’uso dei cookie durante la navigazione di un sito web, vale a dire attraverso l’uso di pop-up informativi che danno a tutti gli utenti la possibilità di scegliere il modo in cui vogliono proteggere i loro dati.
Giocare insieme

La sfida più concreta è dunque coinvolgere i lavoratori, non solo nelle misure di protezione dei dati, ma anche nella fase di progettazione dei momenti ludici, rendendoli partecipi in termini di co-design attraverso molteplici forme di feedback. In questo approccio, il processo di coinvolgimento delle parti interessate deve essere aperto, democratico e inclusivo per creare soluzioni eticamente accettabili.

L’impegno pubblico in tal senso può ‘ripristinare la fiducia’ su temi come l’innovazione, dove le persone percepiscono le istituzioni pubbliche troppo lontane. I potenziali rischi devono essere valutati mediante consultazioni pubbliche e gli innovatori devono essere sensibili a qualsiasi preoccupazione sociale sollevata nelle fasi di co-design.

Riferimenti

https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/23299460.2022.2076985

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